Il senso del pudore nel bambino

Se vostro figlio di circa quattro anni comincia a schernirsi se nudo davanti a voi o a rifiutarsi che lo accompagniate in bagno, lo laviate o lo vestiate non stupitevi. E’ l’età. Verso i quattro anni infatti il piccolo, che fino a quel momento appariva del tutto disinibito, comincia a sviluppare quello che viene definito “senso del pudore” e a manifestare atteggiamenti di riservatezza mai visti prima.

E’ proprio durante questo periodo infatti che il bambino definisce compiutamente la percezione di se stesso come entità autonoma ed indipendente e inizia a confrontare la propria fisicità con quella dei coetanei e di mamma e papà. Per la prima volta percepisce cioè di avere un’intimità, o meglio un nucleo intimo di se stesso, e cerca in tal modo di difenderla e tutelarla.

Dormire nel lettone, alcuni accorgimenti

I bambini, si sa, vivono quasi sempre con angoscia e paura il distacco dai genitori, sia esso lungo o breve. Per questo motivo, anche il momento della nanna può trasformarsi in un incubo con i bambini che non vogliono andare a dormire nel proprio letto e preferiscono restare in quello dei genitori. Dormire nel lettone di mamma e papà è l’aspirazione di quasi tutti i bambini, dai più piccoli ai più grandi poiché permette loro di riposare senza doversi staccare dai genitori. L’abitudine di dormire con mamma e papà, nonostante sia contrastata da molti, è piuttosto diffusa. La scelta di dividere il letto con i propri figli, sia essa volontaria o subita, necessita di piccoli accorgimenti per la sicurezza dei bambini.

Nei primi mesi di vita, il posto più sicuro dove far dormire il proprio bambino è, senza dubbio, la culla (o la carrozzina) posizionata nella stessa camera dei genitori per essere sempre a vista e sotto controllo. Molte mamme, però, scelgono di portare il neonato nel lettone con loro per averlo più a portata di mano e per allattarlo al seno senza doversi alzare dal letto.

L’angoscia dell’estraneo

Verso gli otto mesi di vita il bambino comincia, a differenza di quanto accade nei mesi precedenti, a percepirsi come un individuo distinto dalla madre e, allo stesso tempo, impara a riconoscere quest’ultima come figura di attaccamento primaria e a distinguerla da tutti gli altri. Questi due eventi rappresentano una tappa fondamentale del suo processo di sviluppo ma lo portano anche ad avere timori che prima non nutriva; in questa fase infatti la separazione dalla madre, anche per brevi attimi, o il vedersi avvicinato da persone che non conosce rappresentano situazioni che scatenano nel piccolo ansia e paura.

E’ questo il momento della vita del bambino in cui inizia ad apparire meno socievole e meno propenso a giocherellare o a lasciarsi prendere in braccio dagli estranei esprimendo spesso il proprio rifiuto con inconsolabili crisi di pianto che terminano solo una volta ricongiutosi con la mamma. Si tratta, evidentemente, di un comportamento del tutto normale, ed anzi sano, che non deve preoccupare i genitori, nè indurli a pensare che il proprio cucciolo abbia timori non comuni ad altri bambini.

Ragazzi sbandati e dediti al consumo di alcol: colpa dei genitori?

Nella vera e propria odissea che accompagna il rapporto tra genitori e figli, sono i primi a sentir addosso il peso della responsabilità; si ha sempre paura di sbagliare, di essere stati troppo severi o al contrario troppo indulgenti, poco presenti o troppo asfissianti.

I risultati delle ricerche, che riguardano infanzia/adolescenza e genitorialità, spesso peggiorano piuttosto che attenuare le normali insicurezze delle madri, dei padri e in generale degli educatori, mentre gli specialisti sembrano far ricadere la responsabilità delle devianze e delle degenerazioni dei ragazzi, in maniera molto facilona, sui genitori.

Lo stesso si potrebbe pensare leggendo ad esempio la ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica presso il Karolinska Institutet secondo cui, da un campione di 1220 ragazzi, emerge che sono proprio i genitori e il rapporto con i propri figli a fare la differenza per ciò che riguarda i comportamenti sbagliati e il consumo di alcol.

Calmare le reazioni di rabbia degli adolescenti

L’età adolescenziale è uno dei periodi più delicati dello sviluppo, è infatti la fase in cui il bambino comincia a farsi un’idea sempre più distinta del proprio corpo, della propria sessualità e personalità, è anche il momento in cui si attua il primo reale distacco dalla famiglia e si avviano le prime “mature” relazioni di amicizia e di innamoramento.

Proprio a causa di tutto questo fiorire e pullulare di emozioni e sentimenti, i ragazzi potrebbero avere difficoltà a controllarli o incanalarli in maniera opportuna. È facile quindi vedere adolescenti che si risvegliano aggressivi o impassibili, eccitati o depressi, a giorni alterni.

Tra i comportamenti tipici dei ragazzi, specialmente di sesso maschile, gli attacchi di ira e di rabbia sono tra i più frequenti, e molto spesso genitori ed educatori non sanno come trattarli o che tipo di provvedimenti prendere.

Scambi culturali con l’estero per ragazzi e bambini

È un truismo dire che imparare una lingua straniera da bambini è molto più semplice che da adulti. I bambini che per un motivo o per l’altro sono a contatto con più di un tipo di linguaggio, riescono ad apprenderlo in modo più veloce ed efficace. E’ questo il caso ad esempio del bilinguismo dei genitori, per cui, se la seconda lingua straniera è utilizzata in maniera frequente e disinvolta da entrambi durante lo sviluppo del linguaggio del bambino, quest’ultimo acquisirà una competenza vantaggiosa e utile, di cui andrà sicuramente fiero da grande.

Alcuni studiosi hanno affermato che anche imparare un dialetto oltre alla lingua madre può essere considerato un training per sviluppare più facilmente la capacità di parlare una lingua straniera e di cambiare agilmente dall’una all’altra.

Ma se questo è utile per una maggiore plasticità cerebrale, il dialetto non è certo, a meno di giustificate eccezioni, una lingua conveniente a livello lavorativo.

Quindi, siccome oggi conoscere una lingua straniera, almeno l’inglese, è necessario per inserirsi nel mondo del lavoro ed essere competitivi in qualsiasi attività, molti genitori, prendono in considerazione l’opzione della vacanza-studio o degli scambi culturali.

Copiare a scuola, l’arte che s’impara da piccoli

Copiare a scuola. Tutti almeno una volta hanno tentato di fare i furbi tra i banchi di scuola. Oggi però sembra una tendenza dilagante. Dai bambini delle scuole elementari a quelle delle università, i ragazzi italiani si stanno dimostrando un popolo “di copiatori”, i maschi – come sempre – sono più esperti delle femmine. I dati? Due studenti su tre si fanno passare i compiti, di cui il 69% dei bambini contro il 59% delle bambine. Specializzati in questo campo, gli alunni dell’istituto tecnico agrario, dove confessa di copiare spesso il 45,1 per cento degli allievi, contro l’11% dei classici.

Anche nelle altre scuole, il trend non è molto diverso: al liceo artistico solo il 13% sostiene di non copiare mai. A raccontare la scuola in questa nuova veste è il libro “Ragazzi, si copia“, che esce domani per il Mulino, con una prefazione di Ilvo Diamanti, e scritto dal sociologo Marcello Dei.

Ricette “etiche” per tutelare la salute e la dieta mediterranea

Affrontiamo il tema della cucina e della salute sulla scia di due tra le più importanti notizie invernali in merito. La prima è che la Cucina Mediterranea è diventata parte del patrimonio dell’Umanità, attraverso la decisione, votata all’unanimità, del comitato Unesco riunito a Nairob (Tale scelta era stata incoraggiata anche dalla morte, emotivamente e socialmente triste, del sindaco di Pollica-Accioroli – Angelo Vassallo, attore di una importante lotta per un paese legale, pulito e sano – e dal fatto che Pollica è la città madre della dieta mediterranea).

La seconda è stata invece pubblicata dal Wall Street Journal: la cucina mediterranea, le cui ricette sono state tramandate per generazioni dalle famiglie italiane, è in via d’estinzione.

A peggiorare quest’ultima notizia è il fatto che la dieta mediterranea è tra le più salutari ed eco-sostenibili e perciò, lasciare che si estinguano pasta e fagioli e ricche insalate, a favore di cibi in scatola e panini fast-food, costituisce una grave e pericolosa perdita.

Il Wall Street Journal consiglia ai giovani uomini e alle giovani donne di recuperare la pratica della cucina fatta in casa. Tuttomamma di tutta risposta, ricorda alle madri e ai genitori in genere di non trascurare l’importanza della trasmissione di una tradizione culinaria ai figli il più possibile sana e, perché no?, etica, seppur integrandola a ciò che si continua a diffondere come politeismo alimentare (tendenza nutrizionale contemporanea che prevede il mescolamento di cibi e ricette di diverso genere, provenienza e cultura).

Metodo Montessori, com’è organizzato l’ambiente

L’organizzazione dell’ambiente, nelle scuole che seguono il metodo Montessori, riveste fondamentale importanza in quanto è parte integrante del metodo stesso. L’ambiente montessoriano infatti è concepito per consentire al piccolo di muoversi liberamente e agire spontaneamente. L’arredo, ad esempio, è a misura di bambino: mobili piccoli e leggeri che possono essere spostati agevolmente, lavabi bassi, mensole raggiungibili, armadi e credenze che possono essere aperti facilmente.

Nelle Case dei bambini Montessori inoltre i piccoli utilizzano piatti e stoviglie in ceramica, bicchieri di vetro. Il principio che regola queste scelte è il medesimo: responsabilizzare il bambino verso gli oggetti di cui dispone nell’ambiente dal momento che, se messo in condizione di usarli liberamente imparerà anche ad averne cura.

Il metodo Montessori

Il metodo Montessori fu messo a punto all’inizio del secolo scorso dal medico italiano Maria Montessori a partire dallo studio dei bambini con problemi psichici; ben presto però la stessa Montessori lo applicò all’educazione di bambini sani. Il metodo si fonda sull’assunto che il bambino è un essere completo che possiede particolari doti di creatività e moralità che l’adulto ha ormai perduto. Il fondamentale principio ispiratore dell’insegnante, o meglio dell’educatore, deve essere la libertà dell’allievo che permette lo sviluppo delle potenzialità insite in lui.

Questo non significa che il piccolo deve essere lasciato libero di fare tutto ciò che crede ma che l’adulto non può far altro che guidarlo amorevolmente nel processo di crescita fisica e psichica, che coincide poi con l’autorganizzazione, da parte del bambino stesso, degli stimoli provenienti dall’ambiente. Più precisamente, il bambino è dotato nei primi tre anni di vita, di ciò che la Montessori definisce una mente assorbente che lo porta ad assorbire, appunto, dall’ambiente alcune particolari informazioni (ad esempio il suono della voce umana che lo guida nell’apprendimento del linguaggio) a discapito di altre. Solo nel periodo successivo, quello che va dai tre ai sei anni, alla mente assorbente si associa, nel bambino, la mente cosciente mediante la quale il bambino assegna una logica organizzata ai contenuti assorbiti.

Bambini e ragazzi, il 23% di essi beve alcolici

Giovani che bevono alcol, e gli adulti?

L’educazione al consumo di sostanze di vario tipo è cruciale per una serie di fattori che condizionano la salute e in generale la qualità della vita di ragazzi e non. Con sostanze si intendono sia quelle riferite all’alimentazione sia di altro genere, alcol, droghe e bevande eccitanti come tè e caffè.

La necessità di tale educazione è evidenziata specialmente dalla pubblicazione di una serie di documenti da cui si evince che 8,5 milioni di cittadini bevono oltre la soglia di rischio e che ciò riguarda il 15,8% di chi ha più di undici anni (risultato della relazione sugli interventi realizzati da ministero e Regioni legge quadro 125/2001 – in “materia di alcol e problemi alcolcorrelati”).

Cosa fare se vostro figlio non ha voglia di studiare?

Siamo a metà anno scolastico e sta per cominciare l’ultimo quadrimestre, quello realmente decisivo per voti e promozioni. Il boom di bocciature degli ultimi tempi (ad esempio nel 2008/2009 circa 15 mila bambini non sono passati all’anno successivo) mostra come il problema dell’insuccesso a scuola sia più frequente di quanto si pensi.

Molti genitori si trovano alle prese con figli con generici disturbi dell’apprendimento, che sbuffano invece di concentrarsi sui libri e che non sembrano aver voglia di recuperare i cattivi voti della prima pagella dell’anno.

Il bambino e la parolaccia, una storia vera

Ricordate l’ultima edizione dei mondiali di calcio? No? Be’ non le ricorderei neanche io se non fosse che mio figlio, proprio in occasione della prima partita dell’Italia, ha imparato a dire le parolacce. Anzi, una parolaccia. E non una da niente ma una di quelle proprio brutte che si dicono, sbagliando, a una persona che commette un errore grossolano.

Non vi dico la mia disperazione quando lo sentì ripeterla nello stesso istante in cui la captò e non potete immaginare il mio sconforto quando, nei giorni a seguire, cominciò a ripeterla di tanto in tanto. Il fattaccio però si ripeteva solo nell’ambito familiare (la diceva solo in presenza mia e del padre) ragion per cui decidemmo di ignorarlo sperando che la dimenticasse.

Questo fino a quando, durante una tranquilla serata insieme ad una coppia di amici, il piccolo non decise di esibirsi per il pubblico lasciandolo raggelato. Fingemmo tutti indifferenza e nessuno lo rimproverò o gli fece notare in qualche modo che non andava bene quello che aveva detto. Il principio era sempre quello: “Ha solo tre anni, ignoralo e smetterà di dirla”.