Ricordate l’ultima edizione dei mondiali di calcio? No? Be’ non le ricorderei neanche io se non fosse che mio figlio, proprio in occasione della prima partita dell’Italia, ha imparato a dire le parolacce. Anzi, una parolaccia. E non una da niente ma una di quelle proprio brutte che si dicono, sbagliando, a una persona che commette un errore grossolano.
Non vi dico la mia disperazione quando lo sentì ripeterla nello stesso istante in cui la captò e non potete immaginare il mio sconforto quando, nei giorni a seguire, cominciò a ripeterla di tanto in tanto. Il fattaccio però si ripeteva solo nell’ambito familiare (la diceva solo in presenza mia e del padre) ragion per cui decidemmo di ignorarlo sperando che la dimenticasse.
Questo fino a quando, durante una tranquilla serata insieme ad una coppia di amici, il piccolo non decise di esibirsi per il pubblico lasciandolo raggelato. Fingemmo tutti indifferenza e nessuno lo rimproverò o gli fece notare in qualche modo che non andava bene quello che aveva detto. Il principio era sempre quello: “Ha solo tre anni, ignoralo e smetterà di dirla”.