La rottura del sacco amniotico

rottura-del-saccoOggi parliamo della rottura del sacco amniotico, quella che per nove mesi è la culla dove si muove, dorme e vive il tuo piccolo. Come capire se il sacco amniotico si è rotto? Questo è uno dei dubbi maggiormente condivisi dalle donne incinte, di solito si avverte una improvvisa fuoriuscita di liquido dalla vagina, la quantità di liquido è molta e puoi capire che non si tratta di urina perché non ha lo stesso odore forte di quest’ultima. La perdita del liquido può essere minima o sembrare un fiume in piena, oppure può verificarsi che tu possa perdere poco liquido per diversi giorni di seguito.

Questo può avvenire perché il feto che ha già impegnato la testa nel canale del parto può aver diviso le acque. Per questo la perdita del liquido può essere anche minima perché la testa del bimbo ostruisce il passaggio al restante liquido amniotico che si trova sopra di lui.

Sei in travaglio? Ecco cosa fare

travaglioCon l’avvicinarsi del termine del parto probabilmente (e anche comprensibilmente) la vostra ansia aumenterà. Anzitutto bisogna ricordare che non è possibile stilare una “tabella di marcia” universalmente valida per tutte le donne; il travaglio può infatti iniziare anche due settimana prima della data presunta di parto e/o ritardare di dieci giorni. Quali sono i segnali che possono farvi capire che il momento si sta avvicinando? La perdita del tappo mucoso (che non è dolorosa) e che ha delle striature di sangue ma anche vomito e doloretti che coinvolgono la parte bassa della schiena.

A molte donne, all’inizio del travaglio viene suggerito di restare in casa; questo perché si spera che la futura mamma riesca a rilassarsi un po’. Oramai siete in dirittura d’arrivo e quindi immagino i vostri pensieri saranno tutti proiettati a quando finalmente potrete stringere a voi il vostro bambino; idee, riflessioni e domande cominceranno a susseguirsi in maniera sempre più rapida. Mai come in questi momenti dovrete cercare di restare calme.

Tocofobia, ovvero la paura del parto

tocofobia

La paura del parto, ovvero la tocofobia, è un sentimento comune e molto normale nelle donne, sia nelle primipare sia in quelle che hanno già dei figli, perché ogni parto è una storia a sé e non si possono fare confronti. In particolare, se nel primo parto ci sono stati dei problemi, la donna vive con maggiore preoccupazione quelli successivi, ma non solo: basta un piccolo allarme, anche insignificante, a creare ansie e paure nella gestante.

Pur essendo comprensibile, la paura non aiuta ad affrontare questo delicato momento, anzi, neutralizza la possibilità di analizzare lucidamente l’evento. Cosa fare allora? Alcuni esperti sostengono che il miglior modo per superare una paura è affrontarla; questo è senz’altro vero in alcuni casi, ma, fermo restando che non tutte le persone riescono ad affrontare direttamente una cosa che le spaventa, bisogna considerare che la paura del parto non è una fobia qualunque.

Di questa scuola di pensiero si possono, però, cogliere alcuni suggerimenti, primo fra tutti quello di non negare la propria paura e di condividerla con le persone che possono partecipare a questo evento, dal partner ai famigliari, passando per i medici e l’ostetrica, e cercare di capirlo, magari frequentando un corso pre-parto.

Inizio del travaglio: ecco cosa succede

inizio travaglio

Finalmente i nove mesi di attesa sono giunti al termine: che sia finito il tempo, o che si siano rotte le acque o le membrane, è arrivato il momento di prepararsi al travaglio. Una volta arrivate in ospedale, l’ostetrica eseguirà le mansioni burocratiche e compilerà i fogli di accettazione ed effettuerà una visita generica.

Le domande che vi verranno poste sono quelle sullo stato fisico, sulla frequenza delle contrazioni e sulla rottura delle membrane, dopodiché vi verrà ascoltato il battito cardiaco fetale, misurata la temperatura corporea e la pressione, e verrà stabilito il grado di dilatazione. Se l’ostetrica valuterà un travaglio in stato avanzato verrete trasferite nella cosiddetta sala travaglio.

Conservazione del cordone ombelicale: poca informazione

conservazione cellule cordone ombelicaleAll’interno di questo articolo sono stati illustrati gli step da compiere per chi desidera conservare le cellule staminali del cordone ombelicale. Ora vogliamo invece parlarvi della situazione italiana che non è affatto al passo con i tempi.

Parliamo ad esempio della Sardegna che è una delle 8 regioni italiane a non avere una banca del sangue cordonale. Le neomamme quindi al momento del parto sono costrette a cestinare il cordone oppure a rivolgersi ad una banca estera privata (ricordiamo infatti che in Italia non si può conservare il sangue cordonale a scopo privato). In questo secondo caso la mamma dovrà sborsare circa 2000 euro più altre spese.

Passiamo ad esaminare la regione Sicilia. Regione dove la banca del cordone di Sciacca era riuscita a raccogliere 15000 unità di sangue cordonale in tre anni di attività. Questo fino ad  uno stop imposto da una vicenda giudiziaria. La raccolta è poi ripresa nel luglio del 2008; putroppo però ci sono numerosi ospedali che addirittura ignorano che ci sia stata questa riapertura. La domanda è: “Come è possibile?“.

Il parto, cos’è e come avviene

parto

Il parto, cioè l’estrazione del feto e degli annessi fetali dal corpo della madre ha inizio nel momento in cui la produzione di progesterone placentare che frena l’attività dell’ossitocina si riduce. L’ossitocina accelera le contrazioni uterine rimaste in tutta la gravidanza lievi e sensibili, e quando il livello di quest’ormone diventa elevato, ha inizio il travaglio di parto, quell’insieme di fenomeni che precedono e accompagnano la nascita.

La loro durata varia a seconda di vari fattori, come la validità delle contrazioni dell’utero, il rapporto tra l’ampiezza del bacino della madre e la testa del bambino, l’età della mamma, e soprattutto, il fatto che si tratti del primo parto o no. Il parto può durare da 2 a 24 ore, il primo in media dura 18 ore, i successivi dalle 6 alle 8 ore.

Nella prima fase, quella dilatante, le contrazioni si susseguono a ritmo crescente: la testa del feto viene spinta contro la cervice che si dilata fino a formare la bocca uterina; per l’aumento della pressione si verifica la rottura delle acque, cioè del sacco amniotico, con fuoriuscita del liquido; questa fase dura in media 14-16 ore nel primo parto e 6-12 ore in quelli successivi.

Le tecniche del parto indotto

tecniche del parto indottto

Le tecniche del parto indotto hanno lo scopo di dilatare il collo dell’utero e dare così avvio alle contrazioni o a mantenerle efficaci, dopodiché il travaglio procede in modo regolare, anche se può succedere che si possa evitare il parto operativo oppure il taglio cesareo.

Il metodo che per primo deve essere applicato è quello con le prostaglandine, perché permette alla partoriente di muoversi; alla donna vengono somministrate delle prostaglandine sintetiche che hanno la capacità di dilatare il collo dell’utero e di indurre così le contrazioni e il travaglio. Di solito sono sufficienti due somministrazioni per provocare l’inizio del travaglio.

Se le contrazioni e quindi la dilatazione del collo dell’utero tardano a manifestarsi, nonostante l’infusione di prostaglandine, il ginecologo o l’ostetrica possono somministrare per via endovenosa, tramite una flebo, l’ossitocina, che va tenuta per tutta la durata del travaglio per mantenere costanti le contrazioni. Può essere anche utilizzata se si presenta una diminuzione delle contrazioni alla fine del periodo di dilatazione del collo dell’utero o nel periodo espulsivo quando la mamma deve impegnarsi nella fase di spinta.

La placenta previa

placentapreviaLa placenta viene definita previa nei casi in cui si sviluppa nella parte bassa dell’utero, davanti all’apertura della cervice,  e va ad ostruire parzialmente o totalmente l’uscita del feto verso il canale del parto. Normalmente invece si sviluppa nella parte superiore della parete dell’utero e viene poi espulsa, alla fine del parto, per distacco spontaneo dalla parete uterina.
Il problema principale nasce dal fatto che la placenta non ha una natura elastica e quindi non può accompagnare le modificazioni a cui è sottoposto il collo dell’utero in prossimità del parto. E trovandosi tra il bambino ed il collo dell’utero ne ostacola la nascita. Il pericolo in caso di placenta previa è che questa si distacchi prematuramente causando perdite o addirittura emorragie, mettendo così in pericolo sia la mamma che il bambino.

Parto indotto e pilotato, ovvero quando il bimbo tarda a nascere

parto indotto

La gravidanza dura in media 40 settimane e un neonato viene considerato a termine se nasce tra la 38ª e la 42ª settimana di gestazione. In genere, però, alla 41ª settimana più 3 giorni il ginecologo, se il travaglio non si è ancora avviato spontaneamente, o non è efficace per far nascere il bebè, e anche se la futura mamma sta bene, decide di intervenire perché la salute del piccolo non deve essere compromessa dal mal funzionamento della placenta, cioè l’organo che nutre e ossigena il feto durante i nove mesi; invecchiando, infatti potrebbe non garantire più il giusto apporto di ossigeno al bambino.

A volte è il travaglio stesso che non ha inizio, altre volte esso si è avviato in modo spontaneo ma le contrazioni non sono efficaci per far dilatare progressivamente il collo dell’utero e stimolare l’inizio delle contrazioni o per mantenerle efficaci. I farmaci inutilizzati non causano alcun problema né per la mamma né per il bebè, però è importante monitorare il travaglio ad intervalli regolari per verificare la dilatazione del collo dell’utero e la salute del piccolo.

In genere, si induce il parto se la gravidanza supera la 41ª settimana più 3 giorni, se la futura mamma ha un aumento della pressione o se si verifica la rottura delle membrane amniotiche, cioè quelle che costituiscono il succo amniotico, prima della comparsa del travaglio per un periodo superiore a 24-36 ore, in presenza di diabete gestazionale o di gestosi, una malattia caratterizzata da pressione alta, gonfiori e proteine nelle urine.

Il taglio cesareo nel parto

taglio cesareo

Che cos’è il taglio cesareo? Quando viene fatto? Dove? Come? E Perchè? Il taglio cesareo è un intervento chirurgico che permette al ginecologo di procedere all’estrazione del feto, nelle condizioni più adeguate. Può essere programmato oppure urgente se le condizioni della madre o del feto ne necessitano. Un Taglio Cesareo programmato è un operazione già concordata prima, quando si conoscono anticipatamente le condizioni materne o fetali che renderebbero il parto impossibile o comunque pericoloso.

Il taglio può essere eseguito con anestesia subaracnoidea, anestesia epidurale o anestesia generale. L’anestesia dura circa venti minuti ed è una piccola incisione addominale, che consente un parto indolore. Il taglio è un’incisione addominale tra il pube e l’utero, nella zona meno vascolarizzata e consente l’apertura per l’estrazione del feto, della placenta e delle membrane. La sua durata va dalla mezz’ora ai quarantacinque minuti, questo dipende anche dalle difficoltà tecniche che ciascuna paziente presenta.

Partorire senza dolore: l’uso dell’epidurale

epidurale

Il pensiero principale di ogni donna in gravidanza è quella di trovare un modo per non sentire dolore durante il parto, ma attualmente non esistono metodi efficaci per ridurlo del tutto. La partoriente può contare sull’appoggio di alcune tecniche di rilassamento e sul possibile uso di tre farmaci: l’epidurale, gli oppiacei somministrati per via endovenosa e la respirazione di protossido d’azoto, anche se quest’ultima possibilità viene usata raramente.

L’epidurale è sicuramente il sistema antidolorifico più usato e viene praticata da un anestesista; con questa tecnica si elimina il dolore del travaglio ma non si impedisce alla partoriente di muoversi e di restare sveglia durante il processo.

L’epidurale viene praticata introducendo un ago attraverso due vertebre lombari fino a raggiungere uno spazio che si trova tra la colonna vertebrale e una delle meningi intorno al midollo spinale, chiamata dura madre; una volta raggiunto questo spazio, è possibile iniettare l’anestetico in due modi: o in un’unica soluzione, oppure posizionando un piccolo catetere che permette di somministrarlo in piccoli dosi in caso di necessità. Non appena le contrazioni diventano più dolorose il medico procede con l’anestesia, che dopo 10 o 15 minuti inizia a fare effetto, e quindi, diminuisce il dolore.