Il distacco dal bambino

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distacco dal bambino
È arrivato: dopo nove mesi di gravidanza e un numero variabile di ore di travaglio, finalmente lui è qui, tra le nostre braccia. Il nostro bambino è nato, e fin dai primissimi istanti della sua vita tutta nuova, ci sentiamo indissolubilmente legati a lui: nostro figlio è parte di noi, e del resto fino  qualche minuto prima lo era nel senso letterale del termine.

Nei primi mesi, il bambino addirittura non si percepisce come un essere autonomo dalla madre (anche per questo, le sue “richieste” di essere tenuto in braccio, allattato, coccolato, non vanno intese come capricci, ma come vere e proprie esigenze), e la madre generalmente è altrettanto appagata da questo rapporto quasi simbiotico. Per parte loro i papà vivono il legame con il bambino in maniera forse meno “fisica”, per ovvie ragioni, ma non per questo meno intensa.

Ed è proprio a causa della profondità e dell’intensità di questo legame, che spesso il momento del distacco può essere doloroso. Ma cosa si intende per distacco?  Quando avviene esattamente? È possibile individuare un momento preciso nel quale qualcosa cambia nel legame mamma-bambino?

In realtà, nel percorso di crescita del bambino – e parallelamente, del nostro percorso come mamme – avvengono tanti piccoli “distacchi”: dalla prima volta che lo affidiamo, inquiete e preoccupate, nelle mani di una nonna o di una tata, al momento in cui dobbiamo rientrare al lavoro; da quando comincia a frequentare l’asilo nido o la scuola materna, alla prima volta che lo lasceremo a dormire dai nonni.  E poi: quando smettiamo di allattarlo, e non si nutre più solo di noi; quando impara a camminare e lascia la nostra mano, perché non ne ha più bisogno per sostenersi; quando comincia a mangiare da solo, a vestirsi da solo, ad addormentarsi da solo. Insomma: quando diventa sempre più autonomo, sempre meno dipendente da noi.

Premesso che ogni caso è diverso dall’altro e ogni famiglia vivrà diversamente questi progressi, per molte madri questo processo non è totalmente indolore: certo, siamo felici che il nostro bambino diventi grande, tiriamo un sospiro di sollievo nel riacquistare parte della libertà a cui avevamo (volentieri) rinunciato, ma lasciarlo andare non è poi così facile, soprattutto per quelle donne che, come spesso capita di sentir dire, si sono consacrate alla cura del bambino in maniera assoluta e totalizzante.

Il confine tra dedicarsi al proprio figlio e annullarsi per lui è sottile ma non dovrebbe mai essere oltrepassato; la consapevolezza che siamo qui per aiutare i nostri bambini nel loro cammino, e non per camminare al posto loro, dovrebbe accompagnarci sempre.

Per questo voglio riportarvi le parole del poete Kahil Gibran, che certo esprimono questo concetto molto meglio di quanto possa fare io; non dimentichiamole.

I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro, benché stiano con voi non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri, perché essi hanno i propri pensieri. Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime, perché le loro anime abitano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure in sogno. Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi. Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane. Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere; perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo.

Photo Credits | Thinkstock

 

 

 

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