La ninna nanna è utile?

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Secondo uno studio condotto qualche anno fa al conservatorio di Bologna, i bambini che hanno ascoltato la mamma cantare mentre erano ancora nel pancione non solo riconoscono, una volta nati, le canzoni che si ripetevano più di frequente ma raggiungono l’intonazione già verso i quattro-cinque anni (con due anni di anticipo). Inoltre, l’abitudine di cantare al proprio piccolo la ninna nanna, anche se non sempre lo aiuta ad addormentarsi, gli permette comunque di prendere familiarità con la musica.

Quest’ultima informazione è per me di enorme conforto dal momento che seppure io abbia sempre cantato per il mio bambino sin da quando lo portavo in grembo (gli cantavo in continuazione Avrai di Baglioni) non ho mai avuto in alcun modo l’impressione che riconoscesse i brani da me scelti quando, una volta venuto al mondo, ho provato a farglieli riascoltare. Per di più, con mio grande disappunto e nonostante tutti i miei sforzi, non sono mai riuscita a farlo addormentare cullandolo e cantandogli una nenia.

Durante i suoi primi mesi di vita infatti consideravo assolutamente scontato dovere svolgere questo compito al punto che, costretta all’inattività negli ultimi mesi di gravidanza, avevo preparato un nutrito repertorio di canzoni popolari della mia terra e di vari cantautori italiani, tutte lagnose a sufficienza da abbattere un cavallo. Per questo motivo quando scoprì che mio figlio si addormentava pacificamente e senza sforzo non appena posto dentro la sua culla me ne rammaricai non poco, salvo scoprire poco tempo dopo che il problema (forse) era proprio il repertorio che avevo scelto con tanta cura.

Un giorno che ero a pranzo dai miei infatti mia madre si offrì di addormentare mio figlio, già cresciutello, subito dopo pranzo. Accettai avvertendola che sarebbe stata un’impresa disperata ma lei lo portò ugualmente in camera da letto: ne uscì pochi minuti dopo con aria trionfante e quando le chiesi come avesse fatto mi rispose che aveva cantato per lui una canzone. “Quale canzone?” le chiesi curiosa “Lettera a Pinocchio, quella di Dorelli” mi rispose seraficamente.

In quel momento pensai che si fosse trattato di un caso e che mio figlio avesse ceduto più per sfinimento che sotto l’effetto ipnotico di una canzoncina, ma qualche tempo dopo, al mare a casa di amici, volli tentare io l’impresa: dopo pranzo lo presi in braccio, mi appartai e cominciai a cantare una canzone del mio repertorio. Niente. Occhi sbarrati. Mi decisi allora ad intonare “carissimo Pinocchio…” e, meraviglia delle meraviglie, dopo tre minuti esatti di orologio il piccolo traditore dormiva!

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