Gravidanza, non esiste il rischio zero e aumentare gli esami è inutile

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La gravidanza è una grande emozione, ma porta con sé anche una certa paura. La prima è che tutto non vada bene, la seconda il parto. Purtroppo non esiste un rischio zero. È un dato di fatto che va metabolizzato. L’Italia, insieme a Francia e Gran Bretagna, ha il più basso indice di mortalità al mondo in gravidanza, dieci donne su centomila. Che in numeri, su circa cinquecentomila parti all’anno, fa 50 donne. 50 donne sembrano tante eppure sono davvero una piccola percentuale (solo negli Usa questo dato è doppio).

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La trombosi e l’embolia polmonare sono tra i principali rischi di morte materna. La medicina può fare molto ma non può prevedere l’imprevedibile. E pensare di sottoporre tutte le donne in gravidanza ad ogni possibile esame serve solo ad aumentare i costi per il sistema sanitario, a tutelare in qualche modo il medico, ma non sortirebbe risultati apprezzabili. È una triste realtà contro non possiamo combattere come donne, come essere umani e anche come medici. Sergio Ferrazzani, da 37 anni nel reparto gravidanze ad alto rischio del policlinico Gemelli di Roma, ha commentato:

“Soprattutto non avrebbe alcun senso scientifico perché l’eccesso di esami che oggi si fa quasi di routine non serve ad identificare più donne a rischio. Le gravidanze sono ad alto o basso rischio, non a rischio zero. Per fortuna quelle a basso rischio sono in maggioranza, circa l’80 per cento, ma proprio per i maggiori numeri gli eventi avversi riguardano spesso questa categoria di donne. E non c’è modo di intercettarle prima”

Che cosa serve? Una buona anamnesi prima del concepimento poi all’inizio della gravidanza a ogni donna dovrebbe essere attribuito un profilo di rischio.

“Le donne ad altissimo rischio sono quelle che hanno avuto una precedente trombosi non legata ad un intervento chirurgico maggiore e per queste è indicata la profilassi con eparina a basso peso molecolare sin dall’inizio della gravidanza e per sei settimane dopo il parto. Chi ha familiarità, ovvero un parente di primo grado sotto i 50 anni con trombosi, deve essere sottoposta a test che studi tutte le trombofilie, congenite e acquisite. Solo queste donne, però, non tutte”.

 

Photo Credits | Shutterstock / Tolikoff Photography

 

 

 

 

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