Macchia mongolica nei neonati, cos’è

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La pelle del neonato oltre ad essere delicatissima, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino, presenta delle caratteristiche particolari che spesso mettono in allarme i genitori, specie quelli alle prime armi.  Sono diversi i fenomeni che richiedono particolare attenzione ed a volte il controllo del medico, ma in genere si tratta di manifestazioni che tendono a scomparire in maniera naturale. Tra questi la macchia mongolica. A prima vista potrebbe somigliare ed essere scambiata per un livido, ma è tutt’altro. Si tratta di una macchia che va generalmente a comparire nella regione lombo-sacrale ed è caratterizzata da una forma irregolare con bordo ondulato: è di natura benigna.

Macchia mongolica nei neonati, cos'è

Ha un colore che varia dal grigio al blu-verdastro. Il suo diametro può andare da pochi millimetri fino a più di 10 cm. La comparsa di una macchia mongolica sul corpo del proprio bambino non deve creare allarmismi: essa è provocata dalla presenza in eccesso nel derma di cellule che producono melanina. Può essere presente già alla nascita o fare la sua comparsa durante le prime settimane dopo il parto. Scompare in genere spontaneamente durante il primo anno di vita o anche tra i 3 ed i 5 anni, a seguito dell’avvenuta e normale pigmentazione. Tende ad essere più diffusa tra i bambini di carnagione scura anche se nei bambini italiani ha un’incidenza del 10 % circa.

Il nome di tali macchie deriva dal fatto che queste siano molto più diffuse presso le popolazioni orientali. In queste però non si limitano alla sola zona lombo-sacrale ma tendono a diffondersi anche sulle gambe e sulle braccia. Definita in dermatologia con il nome “melanocitosi dermica congenita in regione lombo sacrale” in realtà, e come anticipato sopra, non è niente di preoccupante: nella maggior parte dei casi, infatti, tende a sbiadire fino a scomparire in maniera del tutto spontanea. Quì come proteggere la pelle del neonato dal freddo e quì tutto quello che c’è da sapere sulle macchie caffelatte nei bambini.

Photo Credit | Thinkstock

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