Gravidanza, nei primi tre mesi ecco i test da fare

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Durante il primo trimestre di gravidanza, il monitoraggio della salute della futura mamma e del corretto sviluppo del feto è fondamentale.

A tal fine, una serie di esami e controlli medici sono prescritti per garantire che tutto proceda per il meglio. Questi test, che spaziano da semplici esami del sangue a indagini più specifiche, offrono una panoramica completa sulle condizioni cliniche e genetiche, fornendo ai genitori la serenità necessaria per affrontare i mesi a venire.

primo trimestre

I primi passi: test di gravidanza e visite iniziali

Il primo esame che si effettua è il test del sangue per la misurazione delle BetaHCG. Questo prelievo quantifica gli ormoni prodotti dal corpo in risposta all’inizio della gestazione, confermando in modo inequivocabile l’avvenuto concepimento. A questa fase iniziale segue la prima visita ginecologica, un momento cruciale in cui il medico esegue un’ecografia interna per confermare la corretta sede della gravidanza. Durante questo incontro, il ginecologo raccoglie informazioni sulla storia clinica della futura mamma, annotando eventuali patologie familiari come ipertensione o diabete, e stabilisce la data presunta del parto.

La visita ginecologica è l’occasione per la prescrizione di una serie di esami del sangue e delle urine. Questi controlli sono essenziali per escludere la presenza di infezioni che potrebbero essere pericolose per il feto. Tra le malattie più importanti da monitorare ci sono l’HIV, l’epatite B e C, e in particolare la rosolia e la toxoplasmosi. Se la futura mamma non è immune a queste due infezioni, i test dovranno essere ripetuti periodicamente per scongiurare un contagio durante la gravidanza. Il medico prescriverà anche un esame del gruppo sanguigno per il papà, per verificare che sia compatibile con quello della mamma, e che sia negativo per l’HIV e le epatiti.

Gli esami più approfonditi durante i primi mesi di gravidanza

Per la tranquillità dei futuri genitori, vengono proposti degli esami di screening non invasivi per valutare il rischio di anomalie cromosomiche. Il più comune è il test combinato, che include l’ecografia per la traslucenza nucale e il bi-test, un esame del sangue. Questo screening, eseguito tra l’undicesima e la quattordicesima settimana, misura lo spessore del liquido dietro la nuca del feto e lo combina con i risultati degli esami ematici per calcolare una probabilità statistica di sindrome di Down o altre trisomie.

Per coloro che desiderano un risultato più preciso senza ricorrere a procedure invasive, è disponibile il test del DNA fetale (NIPT – Non Invasive Prenatal Test). Questo esame del sangue materno, altamente affidabile (fino al 99%), analizza frammenti di DNA fetale circolanti nel sangue della madre per rilevare il rischio di trisomia 13 (Sindrome di Patau), 18 (Sindrome di Edwards) e 21 (Sindrome di Down). Se il risultato dello screening non è chiaro o in caso di alto rischio, si può ricorrere a esami diagnostici invasivi come la villocentesi o l’amniocentesi, che forniscono una diagnosi definitiva ma comportano un lieve rischio di aborto spontaneo.

Infine, per escludere condizioni genetiche ereditarie specifiche, il medico può raccomandare esami ematici mirati a ricercare patologie come la fibrosi cistica, l’anemia mediterranea, la sordità congenita, l’atrofia muscolare spinale e la sindrome dell’X fragile.

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