Cina, finisce l’era del figlio unico

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Il 2015 si chiude con una grande notizia: la Cina ha deciso di abbandonare la politica del figlio unico. L’annuncio infatti è venuto dal Comitato centrale del partito comunista, che ieri ha concluso il suo plenum e varato il nuovo Piano quinquennale. Attenzione però questo cambio di rotta non ha nulla a che vedere con i diritti umani: il governo non si è intenerito. È una questione economica.

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È necessario far fronte all’invecchiamento della popolazione e favorire un sviluppo equilibrato migliorando la strategia demografica, dichiara il documento. Quindi le coppie sposate potranno avere due figli.

La crescita sta rallentando, per la prima volta l’anno scorso la forza lavoro è diminuita e si calcola che entro il 2020 la popolazione definita «attiva», quella tra i 15 e i 64 anni, si ridurrà di 11 milioni di unità. La seconda economia del mondo e il suo miliardo e 350 milioni di abitanti rischia di finire nella «trappola del reddito medio», che significa stagnazione dopo anni di grande crescita. Ecco la verità.

La legge del figlio unico è stata molto severa in questi anni. A chi violava la norma veniva applicate una serie di sanzioni, dalle sanzioni pecuniarie alla perdita del posto di lavoro, fino all’aborto forzato anche in avanzato stato di gravidanza. Tra le altre conseguenze, secondo quanto denunciato da coloro che hanno violato la legge, anche la privazione di istruzione e sanità per i secondi o terzi figli, nonché l’incarcerazione dei genitori “fuorilegge” in prigioni non ufficiali.

Il problema comunque non si cancella con una legge nuova: le famiglie entrate nella nuova classe media in Cina hanno concentrato le loro risorse nell’educazione del figlio unico, trasformandolo in un «piccolo imperatore», e ora sentono di non potersi permettere di dargli un fratello o una sorella. Il piano ovviamente è quinquennale, quindi per fare bilanci ci vorrà un po’ di tempo.

Photo Credits | Shutterstock / YIFAN XU

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