Sindrome di Williams nei bambini

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Sindrome Williams bambini

La sindrome di Williams è una malattia piuttosto rara. Colpisce all’incirca un neonato su 10.000 ed è dovuta alla delezione del cromosoma 7, ovvero alla cancellazione di alcuni geni adiacenti il cromosoma 7 presenti in una zona particolare dello stesso. Tra le conseguenze della malattia il ritardo psicomotorio, difficoltà nella coordinazione dei movimenti, ritardo mentale accompagnato da un comportamento piuttosto socievole anche con chi non si conosca. Interessa alcune aree dello sviluppo, in particolare quella psicomotoria, quella del linguaggio e quella cognitiva. I bambini che ne vengono colpiti sono soprannominati “con gli occhi a stella” a causa della forma particolare che assume l’iride.

La sindrome di Williams non è una malattia di origine ereditaria ne tantomeno annovera tra le sue cause dei fattori medici  o ambientali. Facilmente riconoscibile per via dei tratti somatici alterati, i bambini affetti da tale sindrome sono caratterizzati, fisicamente, da un restringimento bitemporale ossia dalla”testa piccola”, da una fronte piuttosto alta, dalle iridi azzurre con la già citata forma a stella, da sopracciglia piuttosto rade, dalla radice del naso infossata, e dal fatto che tendano a mantenere la bocca aperta, oltre che da anomalie legate al cavo orale e nello specifico ai denti. Tali alterazioni tuttavia solitamente non sono visibili fino ad una certa età del bambino. Tendono a manifestarsi all’incirca raggiunti i 18 mesi di vita.

Tra i primi sintomi della sindrome la comparsa di cardiopatie congenite e difetti dei vasi sanguigni, unitamente alla caretteristiche fisiche appena citate. In quanto alle cure attualmente non esiste una terapia specifica. L’unico intervento possibile è quello relativo al trattamento di tali cardiopatie e la sottoposizione a visite di controllo sporadiche per arginare possibili complicazioni dovute al disturbo, con particolare interesse a livello renale. La diagnosi della sindrome avviene grazie alla FISH ovvero all’ibridazione in situ fluorescente, che permette di individuarla in una grande percentuale dei casi, circa il 95%.

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Photo Credit | Thinkstock

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