Briglia amniotica, cosa è e quali rischi comporta per il feto

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briglie amniotiche

La briglia amniotica è un’anomalia delle membrane amniotiche molto rara (interessa appena lo 0.8% delle gravidanze) e non ereditaria. Consiste nella formazione di un filamento di membrana teso da un punto all’altro del sacco amniotico ed è visibile già nel corso del primo trimestre di gravidanza attraverso l’ecografia e appare, in questa fase, come un filo sottile.

Non si conosce ancora con esattezza quale sia la causa che determina la loro comparsa ma secondo la teoria più accreditata le briglie amniotiche sono causate da una rottura precoce dell’amnios (il sacco amniotico) forse a seguito di traumi (anche dovuti ad amniocentesi, villocentesi o a micro rotture dell’amnios).

Quali che siano le cause, nel 70 per cento dei casi le briglie scompaiono da sole e senza conseguenze nel corso del secondo trimestre di gravidanza. Spesso infatti con il procedere della gravidanza l’aumento di volume dell’utero ne causa la rottura o l’appiattimento contro le pareti uterine stesse. Anche quando permangono per tutta la gravidanza le briglie amniotiche non causano danni al feto nella maggior parte dei casi.

Purtroppo però esse possono causare malformazioni nel feto nel caso si creino delle aderenze tra i delicatissimi tessuti di questo e le briglie (sindrome della briglia amniotica), quando cioè il piccolo entra in contatto con esse e vi rimane “imbrigliato”. In questo caso, comunque molto raro, si parla di briglie costrittive e l’interruzione del flusso sanguigno può generare malformazioni o amputazioni (in grembo) soprattutto a carico degli arti e delle estremità.

In caso di malformazioni lievi, spesso a carico delle estremità, si può interventire chirurgicamente con buoni esiti, specie durante i primi anni di vita.

Le briglie amniotiche, come accennato, sono visibili attraverso l’ecografia. Non esiste una terapia risolutiva durante la gravidanza. Durante il terzo trimestre si valuta lo sviluppo del feto attraverso l’ecografia morfologica.

Photo credit | Think Stock

 

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